Eleonora Azzarello, volontaria in servizio civile in Madagascar con COPE, si racconta.
Io, cittadina del mondo
Ciao a tutti! Sono Eleonora, ho 26 anni e sono nata a Palermo. Ci tengo a specificare che l’aver detto “sono nata a Palermo” e non “sono palermitana” è stato intenzionale. Preciso: non perché voglia rinnegare le mie origini ma perché credo di non riuscire a definirmi solo così. Forse il termine più corretto per me sarebbe “cittadina del mondo”.
Nel 2016 mi sono laureata all’università di Bologna in scienze della comunicazione, esattamente qualche mese dopo aver intrapreso il mio primo viaggio oltreoceano in Tanzania, grazie all’associazione studentesca Centro Studi Donati.
45 giorni di spostamenti, zaino in spalla attraverso le città, i villaggi, la savana, gli sguardi e una cultura completamente diversa dalla mia cultura d’origine. Da allora è iniziato un cambiamento interiore. Forse una scoperta di qualcosa che già viveva nel profondo dentro di me. Questa cosa ha alimentato una forte curiosità per tutto quello che c’è fuori dai confini e dai muri che abbiamo creato come esseri umani.
Ho sentito subito il momento di ripartire di nuovo
Ho sentito il bisogno di partire di nuovo, ma questa volta non come una semplice turista curiosa, volevo lavorare e vivere un nuovo Paese nel modo più profondo ed autentico possibile.
Mentre ero in Tanzania avevo conosciuto un ragazzo italiano che stava svolgendo il Servizio Civile. È stato lì che ne ho sentito parlare per la prima volta. Ed è stato così che sono finita in Madagascar per due anni.
La scelta è stata dettata maggiormente dal progetto, più che dal Paese in sé. Infatti, guardando il bando del servizio civile universale, in quel progetto erano previste attività riguardanti il giornalismo. Erano proprio quelle che mi interessavano maggiormente, anche se poi non è stato possibile realizzarle in pieno.
Certo non posso negare che una certa attrazione per l’idea che avevo del Madagascar ha fatto in modo che fossi molto decisa nella mia scelta. Dopo pochi giorni dall’uscita del bando io era già pronta a spedire la raccomandata all’ONG CoPE- Cooperazione Paesi Emergenti con la mia domanda di partecipazione.
Pronta a partire?
Circa un mese dopo la chiusura del bando mi hanno contattata per partecipare ai colloqui di selezione. I quali si sono svolti nella loro sede centrale di Catania. Prima c’è stato un colloquio di gruppo, in cui hanno partecipato anche altri candidati della stessa ONG. A seguire il colloquio individuale.
Quando mi hanno chiamata per informarmi dei risultati della graduatoria io stavo facendo un pisolino post pranzo ed ho risposto al telefono un po’ assonnata. Mi hanno detto: “Eleonora, sei pronta per partire?”.
Pensavo di aver sognato ed invece qualche mese dopo ero pronta davvero a partire, dopo aver fatto due settimane di formazione pre partenza in cui, oltre a prepararmi alle attività che avrei svolto ed conoscere meglio il paese in cui stavo per andare, mi è stata mostrata più in generale la realtà della cooperazione internazionale e la nascita del servizio civile.
L’impatto iniziale con il Madagascar come Paese non è stato così duro come era stato in Tanzania. Questa volta non solo sapevo a grandi linee cosa potevo aspettarmi, ma era proprio quello che stavo sognando da mesi.
Infatti la polvere, la mancanza di elettricità o acqua corrente, le differenze culturali o anche alimentari, non sono stati un problema per me.
La cosa più difficile da fronteggiare è stato l’essere vasaha, che in malgascio vuol dire “straniero”, in particolare straniero occidentale.
Una condizione che è talmente marchiata nel tuo aspetto che è difficile da togliersi di dosso anche dopo molto tempo, forse, in alcune circostanze, mai.
È qualcosa che può diventare irrilevante solo se da entrambe le parti nasce una voglia di conoscersi davvero. Una conoscenza vera che è orientata a quello che si è, senza volersi cambiare. E ci vuole tempo.
Al lavoro con il Servizio Civile in Madagascar
Anche iniziare a lavorare non è stato subito semplice. Prima di tutto perché bisogna scoprire la realtà in cui ci si trova e come muoversi. Anche negli uffici per esempio, un po’ perché i miei strumenti linguistici erano limitati.
La maggior parte delle persone che abita la regione più a nord del Madagascar parla solo il dialetto sakalava. Solo negli uffici pubblici alcuni parlano anche il francese, lingua dei colonizzatori che è prevista nel programma scolastico dalla scuola materna.
Ma anche con il francese io non aveva grande dimestichezza. Lo avevo studiato alle medie, quindi non è stato del tutto immediato riuscire a comunicare.
Questo è stato un limite da un lato, ma dall’altro è stato un guadagno perché mi ha fatto davvero scoprire l’importanza del linguaggio non verbale.
Con i bambini di Ambanja
Il progetto principale dell’ong CoPE in Madagascar è in ambito educativo e riguarda la gestione di una scuola materna in cui vengono accolti 70 bambini dai 3 ai 6 anni, dei quartieri più demuniti della città di Ambanja.
A questo progetto è connesso anche un doposcuola che accoglie 80 bambini delle scuole pubbliche primarie, sostiene le loro spese scolastiche e ne monitora l’andamento. Di questa parte del progetto si è occupata l’altra volontaria che è partita insieme a me, la mia amica Noemi, mentre io ho lavorato con il tribunale ed il comune per la realizzazione degli atti di nascita dei bambini già iscritti nelle scuole che non erano ancora stati registrati all’anagrafe.
Ho realizzato delle lezioni nelle classi terminali di alcuni licei con il mio amico e prof di francese Bosco, riguardanti la libertà di espressione, parità di genere e tutela ambientale, ed infine un corso d’italiano. Attività che mi hanno dato modo di inserirmi all’interno della cultura in maniera più spontanea e profonda, ma anche di poter avere uno scambio interessante di opinioni e punti di vista.
Quando l’anno di servizio civile stava ormai giungendo al termine, io non ero ancora pronta a tornare, così mi sono proposta per restare come capo progetto (considerando che il posto era libero), così il secondo anno che ho vissuto lì ho gestito le ragazze in servizio civile nelle loro attività, ma anche lo staff della scuola, i rapporti con i donatori e le istituzioni e la parte finanziaria.
Dal diario al libro
In quei due anni sono successe tantissime cose, tante situazioni, tante riflessioni e tante scoperte, che come in ogni momento della mia vita, sin da quando ero piccola, ho sempre appuntato in un diario personale.
Mentre ero lì ogni tanto mi capitava di leggere alla mia compagna Noemi qualcuna delle storie che avevamo vissuto e che io avevo scritto e lei mi diceva sempre: sarebbe bello se non fossi solo io a leggerle. E così mi ha ripetuto per due anni di seguito fino a quando mi sono ritrovata a marzo 2020 nella mia stanza a Palermo, chiusa in quarantena, e non avevo più scuse per non farlo.
L’ho letto, riletto, tagliato, cucito e selezionato, e poi ho deciso che lei aveva ragione forse, sarebbe stato bello condividere con altri quella mia esperienza. Forse sarebbe stato bello essere io questa volta, quella persona che nomina per la prima volta il servizio civile o il volontariato all’estero a qualcuno, e che quel qualcuno decide poi che è il momento di provare. Così è nato: “Tramonti, Pesce Fresco e Manghi Felici. Diario di un’esperienza in Madagascar”, attualmente disponibile su Amazon.
L’idea di questo diario è quindi quella più semplice di condividere la mia esperienza, perché sono fermamente convinta che un’esperienza di questo tipo, anche per chi non decide di dedicare la propria vita alla cooperazione, può realmente far capire la grandezza della realtà che ci circonda.
Allargare quei “famosi” confini, di cui parlavo prima, per guardare il mondo con uno sguardo globale, uno sguardo meno etnocentrico, più completo e forse anche più critico riguardo la storia che ci precede.
A chiunque aspiri a svolgere un periodo di volontariato all’estero consiglio di vivere tutto il più intensamente possibile, gioie e dolori, difficoltà e vittorie. Non è semplice all’inizio, ci vuole tempo per adattarsi a qualcosa che sembra troppo lontano da noi, ma credetemi che una volta immersi in quella verità è difficile pentirsene.
Io ancora oggi ho chiaramente impresso il momento in cui con l’aereo sono atterrata per la prima volta a Nosy Be, sorvolando la foresta verde che la ricopre, e ricordo il calore umido e quasi soffocante che mi ha investito quando ho messo il primo piede fuori dalla cabina.
E non solo sono veramente felice di averlo fatto, ma sto ancora aspettando e sognando il momento in cui questo accadrà di nuovo.